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La Cultura della Sicurezza

Formazione sulla sicurezza a Rovigo

La Cultura della Sicurezza

La Cultura della Sicurezza viene ancora considerata un insieme di principi astratti ma difficilmente applicabili; si dovrebbe invece iniziare a pensare alla stessa come un unico insieme dei processi organizzativi, di pratiche professionali, di norme scritte, di convenzioni informali, di linguaggi, di modi di pensare, di percepire e di affrontare il rischio in azienda. Tutto ciò dovrebbe portare ad immaginarsi un vero e proprio generatore di valori per l’impresa.

Ma come si costruisce una solida Cultura della Sicurezza? Per esempio, passando dalla “comunicazione dei contenuti” alla “condivisione dei comportamenti”, in Sicurezza, anche attraverso la gestione della comunicazione, il controllo dei comportamenti, lo sviluppo delle relazioni interne ed esterne.

E come si diffonde la Cultura della sicurezza? Innanzitutto, quando un’azienda decide finalmente di passare dal mero adempimento alla Leggi, ad un approccio più ampio e condiviso verso il significato comune del lavorare in sicurezza, tenendo conto della produttività e contemporaneamente del benessere delle persone.

In primis, una delle credenze da “smontare” è quella del luogo comune:

“SICUREZZA = GRANDI INVESTIMENTI ECONOMICI”

Spesso infatti sono sufficienti semplici e mirati investimenti, quali la sensibilizzazione dei ruoli e di responsabilità di capi e coordinatori, ed efficaci relazioni tra i lavoratori.

Dunque, per sviluppare una reale Cultura della Sicurezza sarà quantomeno necessario:

  1. agire sui comportamenti;
  2. smontare le cattive abitudini e favorire le buone prassi;
  3. stimolare la motivazione alla sicurezza.

 

Tutto questo anche attraverso:

  • la formazione partecipata e periodica a tutti i livelli;
  • il buon esempio comportamentale, a partire dai vertici e quello dei responsabili;
  • una comunicazione formale e informale coerente;
  • un efficace sistema premiante ma anche di punizioni: è ormai documentato che la sola informazione non genera cambiamento nelle prospettive personali; l’applicazione di sanzioni disciplinari come atto legittimo per condannare chi non rispetta la normativa (e magari che procura un incidente) senza un investimento sulla Cultura della Sicurezza (quindi l’adozione, per contro, di un autentico processo premiante), è altrettanto non foriera di cambiamento e pertanto risulterà essere inadatta e non pertinente.

 

Ma soprattutto è necessario che dal vertice ci sia un’effettiva sensibilità alla tematica, un lavoro di prevenzione e di attenzione e la reale volontà di favorire il benessere dei propri collaboratori. La mancanza di queste premesse genera incoerenza tra il contenuto dei messaggi espressi nei corsi di formazione, da eventuali cartellonistiche affisse, dai dettami di legge, etc…, ed il comportamento effettivo dei responsabili, spesso incurante delle norme e dell’importanza della prevenzione.

 

Ovviamente questa incoerenza diventa la conferma, per i lavoratori, che l’interesse dell’azienda verso questo tema sia basso, generando l’alibi a non occuparsene in prima persona e indirizzando il comportamento verso le soluzioni più comode, non quelle più sicure. Il concetto che “il primo responsabile della mia sicurezza devo essere io”, viene quindi inibito da messaggi contrastanti e demoralizzanti. Invece la percezione della Cultura della Sicurezza può essere ottenuta solamente quando:

  • i lavoratori ritengano la direzione aziendale credibile;
  • le parole della politica di sicurezza siano vissute nella quotidianità;
  • le misure retributive previste stimolino i dirigenti e i preposti a livelli soddisfacenti d’impegno;
  • i lavoratori abbiano un ruolo nella risoluzione dei problemi e nel prendere decisioni;
  • vi sia un alto grado di fiducia reciproca tra dirigenti e lavoratori;
  • vi siano comunicazioni efficaci;
  • i lavoratori ricevano un riconoscimento positivo per lo svolgimento (da tutti i punti di vista) del loro lavoro.

Per aumentare la quota di assunzione della propria responsabilità, bisogna che l’organizzazione fornisca innanzitutto senso e significato all’agire lavorativo e quindi al:

  • lavoro;
  • alle mansioni;
  • agli obiettivi e in generale a ciò che accade nella vita organizzativa.

Il “cucirsi addosso la sicurezza” ovvero che un corretto concetto e modo di vivere la sicurezza diventi uno stile di vita da parte di tutti i lavoratori rappresenta l’obiettivo organizzativo a cui tendere.

In tal senso è necessario contrastare quelle convinzioni irrazionali che portano i lavoratori ad una percezione non corretta del rischio, anche attraverso interventi formativi centrati sul fattore umano, che favoriscano una presa di coscienza e di responsabilità individuale sull’argomento.

La cultura della sicurezza ideale

Per cultura della sicurezza si intende la modalità con cui le problematiche relative alla sicurezza vengono affrontate nel luogo di lavoro. Spesso essa rispecchia “gli atteggiamenti, le convinzioni, le percezioni e i valori condivisi dai lavoratori in relazione alla sicurezza”. In altri termini, “il modo in cui ogni organizzazione fa sicurezza”.

Ma qual è una Cultura della Sicurezza ideale? Ne esistono di diversi tipi? La risposta è sì. La Cultura della Sicurezza di un determinato contesto può essere valutata in termini di maturità, basandosi su come vengono gestiti e si affrontano gli incidenti, quando si verificano. Il grado di maturità di una cultura della sicurezza può spaziare dal patologico (laddove ci si preoccupi del potere, dei propri bisogni e della gloria) al generativo (attenzione alla propria mission). Più la cultura di un’organizzazione si avvicina alle caratteristiche del livello generativo, più è improntata alla sicurezza.

Errare è umano, lasciando intendere che le disfunzioni nascoste (ossia le conseguenze nel tempo delle decisioni prese dai vertici di un’organizzazione o di un sistema, quali quelle che investono la struttura organizzativa o l’allocazione delle risorse) causino in realtà più eventi avversi di quelle attive (ossia gli errori e le violazioni commessi dai diretti responsabili per negligenza, imprudenza e sventatezza). Gli effetti delle carenze latenti possono rimanere nascosti molto a lungo, finché non si associano a disfunzioni attive e danno luogo a un infortunio.

 

Sebbene, comunemente, la prima reazione quando un errore si trasforma in un infortunio sia accusare e punire la persona immediatamente responsabile, questo approccio finisce paradossalmente per peggiorare e compromettere in misura significativa la sicurezza dell’organizzazione. Reazioni di questo tipo presuppongono che l’errore sia dipeso solo dal diretto interessato e che sia ascrivibile a incompetenza, inesperienza e mancanza di impegno. Si distoglie l’attenzione dalla ricerca delle migliorie sistematiche che potrebbero ridurre l’incidenza di futuri errori. Inoltre, è probabile che accusare e punire coloro che commettono errori crei una cultura che scoraggia la comunicazione dei problemi.

La cultura della sicurezza generativa

Soffermiamoci in particolare su tale tipologia di sicurezza: quando raggiunge il massimo grado di maturità, ossia sviluppa al proprio interno una cultura generativa che supporta la salute e la sicurezza dei lavoratori, l’organizzazione dimostra di possedere le seguenti caratteristiche di Cultura:

  • APERTA: i lavoratori sono preparati ad affrontare in modo proattivo i difetti nella progettazione e fornitura di prodotti e servizi e a denunciare i propri errori e i mancati incidenti. All’interno di questo processo, si analizzano i dati, si fornisce un ritorno di informazioni al personale e si traduce il tutto in azioni condivise per abbassare il grado di rischio.
  • FLESSIBILE: l’organizzazione rispetta le competenze e conoscenze di lavoratori, consentendo che controllo e autorità vengano trasferiti ai lavoratori più esperti, insieme con il necessario supporto.
  • GIUSTA: tutte le figure dell’organizzazione concordano su quali siano i comportamenti accettabili e inaccettabili, che sono chiaramente compresi. Nell’organizzazione regna un clima di fiducia e senso di responsabilità, anziché la semplice mancanza di atteggiamenti accusatori: i singoli sono incoraggiati a riferire le informazioni relative a salute e sicurezza dei lavoratori e a discuterne, mentre vigono procedure atte a identificare e gestire performance insoddisfacenti.
  • DELL’APPRENDIMENTO: vi sono la disponibilità e la competenza necessarie per trarre conclusioni appropriate dai sistemi informativi di gestione del rischio e della salute e sicurezza dei lavoratori, insieme con la volontà di implementare riforme ove indicate.

 

 

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Fabio Pezzan

Fabio Pezzan, risiedo in una cittadina Polesana, vicino a Rovigo, 58 anni Realizzare Docenza e Formazione per la Salute e la Sicurezza dei Lavoratori, nelle attività che li vede impegnati giornalmente, rappresenta per me il motto professionale del «FARE FORMAZIONE PER IMPARARE A STIMOLARE». Sono proprio le motivazioni e gli stimoli a tuffarmi nella costante ricerca di nuove modalità di coinvolgimento, di nuove dinamiche capaci di sensibilizzare tutti alla meravigliosa conservazione della vita. Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia venti od ottant’anni. Chiunque continua ad imparare resta giovane. La più grande cosa nella vita è mantenere la propria mente giovane.